Noi di giornate brevi
scanditi in giravolte di clessidra
sabbia tra vuoto e pieno
noi dalla parte oscura della silice
imprigionati dalle trasparenze
presi dall’infinito _e non capirlo_
cerchiamo il nesso nella congiunzione
il punto in cui la luce è prigioniera
ed ogni stella ridiventa nova
noi che sembriamo interi
siamo la doppia identità dei vivi
_ai morti è dato un cuore di cristallo_
nascemmo dalle pietre
ma una lama di sole ci trafigge
mentre nell’ombra frantumata al suolo
ci sparpagliamo in nugoli di nomi
e tuttavia
di mille luci popoliamo il cielo
***
Zitto. Al cospetto di tanta densità (e la musica), qualunque cosa uno possa dire, anche la più appropriata, sarebbe una diminuzione. Ma questo è problema che assilla qualsiasi onesto critico e lettore. Non si dovrebbe mai introdurre la dissonanza di un ragionamento o una intuizione quando è la paesia a parlare. Quando emergendo da una qualche profondità (le pieghe dello spazio tempo, tutto quello che libero naviga nell’aria e l’inconscio) la poesia prende la parola, prudenza vuole che le parole tacciano.
Obbedisco dunque. Mi chiudo nel mio silenzio disabituale e in quel silenzio torno a Cristina Bove. A “Terre di mezzo” consiglio ognuno di tornare.
Mauro Antonio Miglieruolo
più che ringraziarti di questa tua gradita ospitalità, non posso.
e anche delle profonde riflessioni che fai sulla mia poesia.
e nel tuo “silenzio disabituale” continuo a sentire la vicinanza di un’anima che sa…
Il “silenzio abituale” è un passo di una tua poesia della quale conservo il ricordo. Grazie a te di continuare con tenacia ed efficacia a tenere la posizione.
Cristina Bove poetessa non per caso!
lo so, ma mi piace anche il tuo disabituale. 🙂