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15 Maggio 2013 / miglieruolo

Le donne che ridono

Le donne che ridono
dal blog lunanuvola di Maria G. Di Rienzo
http://lunanuvola.wordpress.com/2013/04/21/le-donne-che-ridono/
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(“I am a laughing woman”, di Fozia Yasin, giornalista indiana, per World Pulse, 16 aprile 2013, trad. Maria G. Di Rienzo.)

“Non alzare la voce. Le brave ragazze non parlano a voce alta.” Questa è la “saggezza solo per ragazze” prevalente nella mia parte di mondo. Nata ribelle, io chiedevo: “Cos’altro fanno le brave ragazze?” Soffrono in silenzio.

S’imbronciano. E piangono, ma silenziosamente. Ne ho viste così tante attraversare l’inferno… Perciò, ho deciso di essere una cattiva ragazza. Le brave ragazze stanno a casa, ma le cattive ragazze vanno dappertutto!

ragazze

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Sono diventata una cattiva ragazza non appena ho visto quel che accadeva ad una mia buona amica. Lei era anche mia prima cugina, e viveva con noi. Era la maggiore di tre sorelle e suo padre era solito biasimare mia zia per aver gettato su di lui la maledizione di così tante figlie. Per alleggerire il suo fardello, mio padre la portò a casa nostra.

Mio padre non era benestante lui stesso. Gestiva un piccolo commercio d’artigianato che fu duramente compromesso dal conflitto in Kashmir. Pure, nessun compromesso fu fatto sulla nostra istruzione. Andavamo a scuola insieme, leggevamo libri e condividevamo storielle buffe. Lei era solita ridere forte alle mie battute. “Le brave ragazze non ridono.”, ci dicevano allora, “Manda un brutto segnale all’esterno.” Perciò, dovevamo accontentarci di sogghignare. Noi due, brave ragazze.

Tutto cambiò 6 giorni prima del suo 15° compleanno. Suo padre venne a prenderla con l’annuncio di aver combinato il suo matrimonio. Ma come? E’ solo una bambina, deve dare gli esami a scuola fra poco e la persona a cui andrà sposa ha 21 anni più di lei… “Devo disfarmi di questo peso.”, tagliò corto suo padre, gettando via assieme alle critiche tutti i sogni di mia cugina. Lei non parlava. Io tentai di scherzare, lei sorrise appena e se ne andò.

Quindici anni dopo, la mia buona amica sembra 15 anni più vecchia di me. Suo marito voleva un figlio maschio e ne ha avuto uno dopo quattro figlie. Non è facile mantenere cinque bambini, per lui. E’ frustrato e violento. Ogni giorno mia cugina ha un prova fresca della violenza sul suo corpo. Lui batte anche le bambine. E lei trangugia tutto in silenzio.

Il giorno fatale in cui lei fu portata via, divenne il punto di svolta anche della mia vita. Da quel giorno cominciai a guardare la vita attraverso una lente diversa. La lente di una donna. Cosa fa di lei un “peso”? Perché è così silenziosa? Perché non alza la voce? Cosa sarebbe accaduto se lei avesse alzato la voce quel giorno? E perché le brave ragazze non possono ridere?

La vita andò avanti. Io finii il liceo e andai all’università. Scelsi di diventare una giornalista. Viaggiai e presi fotografie. Durante gli anni, ho incontrato così tante donne in cui ho rivisto la mia buona amica. Come lei, dicono di essere state piene di vita, un tempo, ma di non averle mai controllate, le proprie vite. Come lei, sono prive di voce. Io offro loro ascolto. Credetemi, è ciò di cui hanno più bisogno.

Hanno bisogno di sentirsi dire che non sono sole. Io ritengo mia responsabilità non solo dar loro voce, ma anche far sì che quelle voci siano alte tramite il megafono della mia penna. E’ necessario condividere le loro storie con il mondo intero.

Ma lo so che la battaglia contro il patriarcato sarà lunga. Perciò, non possiamo stare tutto il tempo con le facce tristi. Ora, cattiva ragazza quale sono, io rido. Rido davvero tanto. Perché il patriarcato non sopporta le donne che ridono. Una donna che ride è una donna libera. E’ una donna che non ha paura.
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Ho sempre trovato strana questa cosa del divieto di ridere, in uso anche da noi decenni or sono, imposto alle donne e non agli uomini. Non sarebbe quindi dato per non disturbare o motivi di buone maniere.
Me la spiego, parzialmente, dicendo a me stesso che forse, per certe orecchie delicate e certe code di paglia, ridono troppo; e a volte un po’ troppo propriamente. Infatti, quando sono tra di loro ridono un bel po’, specialmente se il discorso cade sugli uomini. Ecco allora la necessità di zittirle, non si sa mai cosa possa girare nelle testoline matte, un po’ troppo chiaroveggenti, di queste sconsiderate che della più allegra serietà e affidabilità hanno fatto la loro meta. Gli può balzare in mente di ridere di ciò che non dovrebbero ridere, di certe vane vanterie, certe goffaggini e certa rozzezza maschile che non si sa da dove viene, se dal passato cavernicolo o da una nostalgica vocazione a tornare nella giungla dal quale troppo di recente sono usciti.
Questo spiegherebbe allora l’origine di certi aspetti della latente criminalità che staziona in ogni essere umano e un po’ più negli esseri umani uomini. Come in quella pubblicità in cui il poliziotto minaccia di cancellere lui il sorriso dalla faccia dell’inquisito, il poliziotto umanità ci prova stabilendo un divieto preventivo. Ottavo: non ridere! Salvo ricorrere successivamente a quello molto più efficace delle botte, umiliazioni e persino della morte (oh, allora sì che si smette di ridere), complice spesso le leggi.
Il riso diventa pianto ma non ci si pongono più interrogativi del genere: stesse ridendo di me per caso?
Sì, proprio di te, mio bel forzutone con le palle, che ti sei ridotto a questo misero essenziale: l’essere tutto palle.
Che visione grottesca! E pretendi pure che di te non si rida?
Mauro Antonio Miglieruolo

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