Iniziò alla breve, e crebbe con rapidità esponenziale, senza altro preavviso che l’ispessirsi del traffico. Macchine, sempre nuove macchine, macchine in entrata, macchine in uscita, macchine nervose, macchine che procedevano tranquille sulla corsia di destra, macchine impazzite su quella di sinistra, macchine che strombazzavano sfogando nel clacson il nervosismo emergente. Convulsamente, in fretta, mentre il nervosismo mutava in frenesia, necessità assoluta di far presto, d’approdare a alcunché, nuove auto si ammassarono alle uscite, altre procedettero in entrata, ostacolando la viabilità del Raccordo. Caos, smog, furore… Messo sull’avviso dall’addensarsi di tutta quell’agitazione (soltanto eventi fuori dal comune potevano giustificarla), mi affrettai a sintonizzarmi su un notiziario. La radio gracchiò la parte finale di un annuncio e tacque. Trenta secondi di silenzio. Infine la replica.
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– Dio è atterrato, – udii dichiarare esterrefatto, – e trasmette sulla lunghezza d’onda 93.600 delle Modulazioni di Frequenza…
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Pare crivello irrisolvibile la quadratura del cerchio, che vi fu paesano mio di cui non frequentai medesime scuole per sfalsamento d’anagrafica, tale Archimede d’aggettivazione pitagorica, che disse che tale cosa non è possibile. Quale assioma derivato c’è ovvietà che chi nasce torto dritto non diventa, che è come dire che se sei tondo non ti fai quadrato nemmanco a smoccolare in aramaico. Ad evidenza di fatto mi faccio persuaso – che è cosa ormai ovvia financo a me che faccio d’arrivo a deliberazione cosa di ritardo – ch’ebbi torto sempre e comunque. Dunque, qualunque cosa io scriva o dica è sbagliata per definizione di dogma.
Che seppure immaginassi d’aver ragione, e mi capita a presupposto di narcisistica presunzione, io sarei a destino individuato quale pazzo. E cos’è la pazzia? Forse solo deviazione standard da comportamenti normali, quelli che tengono i più, che accettano codifiche, quali che siano le consegne. Il…
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di Mauro Antonio Miglieruolo
in
METAMORFOSI DELLA MENTE
Oppure qui:
di Mauro Antonio Miglieruolo
un mio racconto in questo numero
World SF Italia Magazine n. 3: Rivista ufficiale dell’associazione WORLD SF Italia
Davvero, una buona rivista. Era tanto che l’aspettavo. Tanti nomi nuovi. Segno di una vitalità che anche solo 5 anni or sono era nelle speranze, non nei convincimenti di ognuno.
di Mauro Antonio Miglieruolo
World SF Italia Magazine n. 2: Rivista ufficiale dell’associazione WORLD SF Italia
Del quale ho redatto l’editoriale. Grazie Presidente. Grazie Luca Ortino.
*
Con un mio breve articolo sugli scrittori e le scritture.
Una buona rivista, da leggere…
Mauro Antonio Miglieruolo
La cosa migliore che abbia scritto. Un monologo di circa 40 pagine nel coso del quale un uomo, nella veste di imputato, accusa sé stesso per accusar tutti gli uomini. A partire dall’inquisitore davanti al qaule è chiamato per rispendere dei suoi errori-
https://www.edizionitabulafati.it/yagocontroyago.htm
Yago contro Yago, lo scandaglio dialettico gettato dentro una vita dissennata per rappresentare, attraverso l’analisi delle motivazioni e i vizi di un uomo, i limiti di tutti gli uomini.
Yago è di fronte al suo giudice, accusato di svariate nefandezze delle quali deve dar conto. L’imputato ammette, o sembra ammettere, le sue colpe. In realtà accusa. Accusa se stesso così da poter accusare colui che lo giudica, e insieme a lui l’intera umanità. In nulla è colpevole se non di soffrire dell’invidia, delle ambizioni e delle brame comuni. L’unica sua colpa sarebbe una capacità: l’abilità di manipolare, di far sì che gli uomini, dei quali si limita a sfruttare le debolezze, si perdano da soli.
Yago, il terribile Yago, non è altro che l’attimo d’ombra che offusca la ragione di Cassio e di Otello, nel precipizio che la società e Cassio e Otello medesimo predispongono per l’essere della tragedia. Il fare che illumina le storture segrete di una società fondata sul potere e sugli egoismi.
Yago non si differenzia dal suo giudice. La differenza di funzioni tra inquisitore e reo non esclude la convergenza delle attitudini. Il giudice dovrebbe aiutare a correggere, indirizzare, ricondurre a norma, aiutare; invece, è uguale a Yago: abusa, imperversa, trionfa.
Copertina di Giorgio Sangiorgi [ISBN-979-12-5988-155-7]
Pag. 40 – € 6,00
https://www.edizionitabulafati.it/agostinoimbellieroe.htm
Giunto al termine della vita, Agostino Imbelli deve affrontare l’arduo compito di uscire dall’appartamento nel quale vive per cercare, in una città che è l’immagine allucinata di quella reale, coloro che ha offeso nel passato. Non tutti, solo quelli nei confronti dei quali permane il senso di colpa.
L’impresa inizia in casa, affrontando la moglie defunta, la cui memoria è chiusa all’interno di una sfera magica che ne perpetua l’esistenza per l’eternità. Agostino ha speso ogni risorsa per ottenere il privilegio di mantenerla in quello stato, sperando di poter godere della sua compagnia, dei suoi consigli e del suo conforto. Ma la donna rifiuta di essergli vicina. È infuriata con lui per un tradimento scoperto alla vigilia della sua morte.
Avviene, insperatamente, il miracolo della rappacificazione, che sospinge Agostino a tentare l’impresa di ottenere anche da altri il perdono. Anziano e malaticcio, si muove a fatica all’interno di una Roma immaginaria, sempre sul punto di cedere, spingendosi sempre oltre, verso il completamento di una missione da vero eroe. La sua è un’impresa che solo i grandi osano intraprendere: ammettere quello che si è, riconoscendosi nel male per approdare al proprio bene.
Copertina di Giorgio Sangiorgi [ISBN-979-12-5988-165-6]
Pag. 104 – € 11,00
Tabula Fati
Ho trascurato fin troppo la sorgente di parole e musica nota come Cristina Bove. Metto tra parentesi i miei acciacchi, una strappo ai numerosi impegni e dò a Cristina quel che è di Cristina. A me la pace di un lavoro fatto per il bene. Fiat Lux.
Orologi di sfere in dicerie di ruggine
numeri color feltro
in calce voci di chicchere spaiate
giare cucite a fil di ferro
di verghiana memoria
ci si sposta nel tanfo delle cose
la spilla in filigrana del pavone
ha perso gli occhi
la teiera cinese chiccoriso
sul fornellino a spirito riposa
mi sento antica in versi, sarà mica
che il tempo ha patinato la mia voce?
È vero è sera
crepuscolo direi (se non fosse parola
assai usurata)
però mi dico, accade la giornata
e non si può chiamarla in altro modo
perciò se a notte mi ritrovo è notte
word suggerisce: tarda serata, buio
tenebre oscurità, perfino cecità
ma cosa importa
mi sveglio e scrivo la chincaglieria
delle mie insonnie.
Mauro A. Miglieruolo, Miglieruolo, Robot
A vent’anni trovavo spiritoso scrivere “poesie” simili a quella leggibile qui sotto, che impietosamente propongo. Raggiunti gli ottanta un po’ meno.
La propongo per pura curiosità di sapere cosa ne pensate voi. Sempre che mi riteniate meritevole di farmelo sapere…—–
LAMENTO DI ROBOT IMMIGRATOChiovi, chiovi, tempu bruttu,
S’è arruggiatu lu custruttu,
Tengu i ggiunte faticate
Pure l’uocchie su malate.
Bruttu freddu Ummiditati
Si potiti m’aiutati…Datimi nu pocu ‘nduja
Mu m’aggiustu a meduia.Trase sottu allu pastranu,
Bagna viti chianu chianu,
Arruvina l’ingranagge,
Fa schiantari li manegge.
Plisk… u… u…
Nun pozzu parlari cchiù.
So ffuttute l’amperagge,
Tengu l’uocchie senza ragge…Viti svitati!
Track… u… crick…
Crack… u… trick…
Manciai nu pocu
i pollu frittu,
Mmo ‘nun camminu
cchiù drittu.
Mi fannu mali i gangali!
Megghiu nu pocu i maiali.Doia, treia,
Mamma meia.Crak… ulf…
Track… bulf…Senza patri,
Bedda matri!Mauro A. Miglieruolo
A vent’anni trovavo spiritoso scrivere “poesie” simili a quella leggibile qui sotto, che impietosamente propongo. Alle soglie dei settanta un po’ meno.
La propongo per pura curiosità di sapere cosa ne pensate voi. Sempre che mi riteniate meritevole di farmelo sapere…
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Chiedo ai sassi che nome vogliono
“È una bella soddisfazione sapere che da una finestra posso procedere per libri per birre per vecchi amori e da questi raccogliere sogni sufficienti per filarmela attraverso la porta di servizio.” (Gregory Corso)
Che da quando mi annessunai e lasciai l’altro me a farsi barchetta a sganghero nel mare in tempesta di quotidiani, mi crebbe, ad ogni onda d’asperità ch’ella affronta, desiderio infinito di ricerca di fuga, anelito di oltre mare, forse solo d’altro mare. M’aggrada sempre più farmi a parte esatta d’opposto, che resto del mondo fa a resistenza di bufera a stazza esausta ed io invece propendo per derive con accompagnamento di sacco leggero a poche cose necessarie, condotte per sopravvivenza. Poche cose esatte che furono di libro mai letto, pure lapis e moleskine per quello che desiderai scrivere ma non me ne fu dato tempo, forse neppure specifica volontà, fiasco a colmo di rosso che…
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Poesia da ripubblicare, ma anche riprogrammare. A sei mesi data. Almeno…
dialoghi garbati
risate con bon ton
riservatezza tout court
sia mai che ti venissero alla mente
i morti nelle stive, gli annegati
le schiave sulla strada
sia mai che ti spazzassero il sorriso
le donne violentate
le bambine sottratte ai loro giochi
andate in sposa prima d’essere donne
_orchi fedeli a un dio senza pietà_
Mai che ti colga
il pensiero che mentre scrivi rose
ci sono operatori degli espianti
chirurghi che si prestano a interventi
asportazioni d’organi
da vivi che morranno a morti che vivranno.
Non ti sovvenga
dei bambini rapiti, rivenduti
o uccisi a botte dai propri genitori.
Distogli il tuo pensiero
dai viaggi organizzati per pedofili
lo chiamano turismo sessuale
_italiani tra i primi della lista_
Resta lontana dagli affari sporchi
mafie governative
cosche italiche
agli inventori di poemi e affini
non si addice la critica.
E se malgrado tutto
scrivo di fiori cieli e cuori tristi
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Grazie. Null’altro da dire, Cristina, oltre il ringraziare.
Questo proprio, con il permesso dell’autore, non me lo lascio sfuggire
Chiedo ai sassi che nome vogliono
Fu lungo e periglioso il cammino che mi riportò lontano da casa. Periglioso pure per tal evento di cui pure giornalettume parlò, che senza di quell’evento avrei terminato il viaggio a tempo assai più breve a miracolata concessione di sollievo per la mia dolorante schiena. Tal torma di tifosame si mise a far cagnara, ed io mi ritrovai a viscera di blocco, così, per non farmi mancar nulla, per ora ed ora. Che io proporrei che foglio di via lo danno ad altri – e pure a me, per isola deserta – che tanto pare che non ci sia scampo ad ammazzo fitto – pure ragione – per girar di palla.
“Siamo i creatori della musica e siamo i sognatori dei sogni. Vagando da esploratori solitari del mare, e sedendo lungo flussi desolati. Perdenti al mondo e scommettitori sul mondo, da cui la pallida luna scintilla.
Ed anche siamo…
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Scrive come un pazzo e, ambizione vana, non è mio amico. Il che costituisce una contraddiizone in termini. Il pazzo vero in effetti sono io che non lo frequento e troppo tardi mi sono accorto di lui. Abbiamo cominciato dal meno, una pallida collaborazione mensile a tre. Ma si sa che da cosa nasce cosa. Grazie Giovanni…
Chiedo ai sassi che nome vogliono
Che si fece fine vita pure d’anno nefasto, che fu abile solo a costruire enorme tappeto a consuetudine di archiviarsi sotto polvere che nemmeno bidone aspiratutto pare a capacità di levar di torno. E io mi faccio latore a postino preciso di auguri a fatto che diventa polvere a nascondere proprio sotto quello di trama finissima ed ampio contenuto.
Auguri, dunque, che facciamo ad inizio per donna di paese vario, che a citarne un paio come Afganistan e pure Iran, mi pare faccio sconto per difetto. Che quella donna, a massacro che non rispetta regola sacra, è a furor di popolo sano d’Occidente grande vittima di iattura integralista, ma stesso popolume a civiltà elevatissima spolvera detta donna collettiva sotto tappeto ad arrivo di prima bolletta, ch’è questione di priorità. Pure fece a grande scandalo che finì vita di povere ragazze a reato gravissimo di capelli sciolti, ma sotto il tappeto…
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Scrivere nella nebbia
appunti da riprendere al chiarore
di lampade votive
_storie di vita e morte_
nel gocciolare della galaverna_
sopra un altare per icone stinte
dove s’annidano i dolori
le traversie dei vivi e dei morenti
voci invasive, suoni importunanti
uomini dallo sguardo tenebroso
scrutano il male tra le chiome
nei volti delle loro stesse figlie
ebbri di profezie danno la morte
a chi non condivide il loro dio
ci giungono notizie
di uccisioni efferate
e noi dovremmo uscire dalle case
urlare da spostare le montagne
da rovesciare numi e dittatori
urlare disperati
fino a restare senza voce
sperando che ci ascolti un dio di pace
Al solito, Cristina Bove, non dico l’unica, una delle poche…
Postato il di chiedoaisassichenomevogliono
“Non ho mai avuto paura, non ho mai camminato voltandomi indietro a guardarmi le spalle. È una grazia vera, perché se non hai paura di morire muori una volta sola.” (Franca Viola)
Il 26 dicembre 1965 il tale Melodia, di appartenenza mammasantissima, accompagnato da manipolo di dodici arditi di maschio coraggio – mica per natura pavida ad operar da solo, ma per generoso desiderio di condivisione – rapisce Franca Viola di 17 anni e il suo fratellino di 8 che poi liberano. La ragazza non era accondiscendente ai desideri del tale sopra, che le aveva provate tutte, pure a minacce e botte alla famiglia e devastazione di loro proprietà.
Franca fu violentata, malmenata, lasciata a digiuno, tenuta segregata per otto giorni; poi, i parenti del fenomeno Melodia contattarono il padre di Franca per la “paciata” e matrimonio riparatore conseguente a tanto di rito per parroco dabbene. Padre e madre di Franca giocarono a finta di “che bello” e fecero arrestare la banda. “Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce”, disse la ragazza. Che legge di repubblica proponeva che il matrimonio era gomma a matita per stupro, altrimenti c’era il “donna svergognata”. Pure l’arciprete di Alcamo, sant’uomo, diede saggio e mite consiglio alla ragazza che non era cosa di fare tutto questo baccano, che rischio c’era, ed elevatissimo, che rimaneva zitella. Franca gli fece piccolo sgarbo che si sposò lo stesso, che l’allegra compagnia di mammasantissima le aveva pure detto che lo sposo era a rischio.
Il giudice Giovanni Albeggiani, per fermo immagine di Franca, fece mannaia sulla banditaglia che al Melodia gli diede 11 anni, ma la leggiastra sul matrimonio riparatore fu abrogata dopo sedici anni, e altri quindici ne passarono per il 1996, che poi stupro è ora contro persona non contro la morale, che fino all’altro ieri, nelle civili italiche sponde (non in zona talebana), valeva poco più, a giudizio penale, di colto in fallo per improvvisa esigenza prostatica ad oltre cespuglio di giardinetto. Se non era per Franca, che aprì discussione vera nel paese, con coraggio che mancò a grandi uomini di sacre istituzioni, forse eravamo ancora ad aspettare l’atto di civiltà.
Comunque, il prode Melodia, uscito dal carcere di Modena, non si godé troppo aria fresca che si fece fare un bruciapelo da lupara, forse per sgarro di peso ad altro mammasantissima più grosso e permaloso di lui.
Chiedo ai sassi che nome vogliono
Che ormai manco me lo sento di dire “io” quando non ho minuti per grattarmi la testa. Che io non ci sono portato a non avere tempo, non è cosa mia. È quell’altro me che s’affanna senza soluzione, pure mi coinvolge, senza pietà, che dice che da solo non gli pare giusto, che devo dare contributi. Poi, sotto sotto, lo so che manco lui c’è portato, ma pare non se n’avveda, s’arrabatta su tutto. Niente tralascia. Glielo ribadisco, l’imploro, lo supplico, talora, di lasciare perdere, di starsene buonino, che altre cose abbiamo da fare, ben più importanti. Niente, da quest’orecchio non ci sente.
Mi fa persuaso, però, ed a sua insaputa, che di ragione ne ho a bizzeffe, nemmeno basterebbero tomi interi per elencarle nella loro arguta giustezza. Mi sorprendo che non s’annessuna come mi piacerebbe che facesse, così, ad armi pari, identità sovrapponibili, potremmo dedicarci alle cose che ci…
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di Massimo Fini
Adesso l’arroganza del presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha superato ogni limite: non si accontenta più di dettare l’agenda politica dell’Ue, ma vuole cancellare la cultura russa dall’Europa, la stessa pretesa di Putin con l’Ucraina. Come racconta Marco Travaglio sul Fatto: “Il console ucraino Andrii Kartysh ha intimato a Sala, a Fontana e al sovrintendente Meyer di cancellare la prima della Scala col Boris Godunov di Musorgskij e ‘rivedere’ il cartellone per ripulirlo da altri ‘elementi propagandistici’, cioè da opere di musicisti russi”. Dà ordini perentori ai sindaci, ai presidenti di Regione, ai direttori artistici, vuole decidere lui, attraverso i suoi scagnozzi, quale deve essere il cartellone della Scala. La Scala, il più grande teatro al mondo di musica classica, di balletto, di operistica, dove sono stati messi in scena i maggiori compositori russi, da Tchaikovsky a Rimsy-Korsakov a Prokofiev a Khachaturian a Stravinsky, dove hanno ballato le più grandi étoile russe, da Rudy Nureyev a Baryshnikov e, per restare a casa nostra, sempre che rimanga tale, dove sono stati dati tutti i nostri grandi dell’opera, da Puccini a Rossini, da Verdi a Vivaldi, da Monteverdi a Bellini, dove hanno cantato Maria Callas e la Tebaldi. Che cosa ci hanno dato gli ucraini in cambio? Zero, zero.
Volodymyr Zelensky è un filo-nazista, non perché lo ha bollato così Putin, ma perché una parte del suo popolo, sia pur carsicamente, lo è, non solo i miliziani del battaglione Azov che lo sono apertamente, sono inglobati nell’esercito regolare ucraino e vengono continuamente esibiti e magnificati dal loro presidente. Infatti due settimane fa, come già l’anno scorso, il suo governo ha votato contro l’annuale risoluzione Onu che condanna l’esaltazione del nazismo: l’aveva già fatto l’anno scorso, insieme agli Usa, mentre stavolta Kiev si è tirata dietro i principali Paesi europei, Italia inclusa.
Quando in Ucraina c’era la Wehrmacht, con cui non si scherzava, gli ucraini sono stati attori, in proporzione, di uno dei più grandi pogrom antiebraici.
Volodymyr Zelensky gonfia il petto per la resistenza all’“operazione speciale” di Putin. Ma con le armi che gli hanno dato gli americani e disgraziatamente anche l’Unione europea, che continua a non capire dove sono i suoi veri interessi, pure il Lussemburgo avrebbe resistito al tentativo di occupazione russa.
Lo so, lo so che è obbligatorio premettere che qui c’è un aggressore, la Russia, e un aggredito, l’Ucraina. Tutto vero, però queste sottili distinzioni non si sono fatte quando gli aggressori eravamo noi, Germania in parte esclusa, in Serbia 1999, in Afghanistan 2001, in Iraq 2003, in Somalia, per interposta Etiopia, 2006-2007, col bel risultato di favorire gli Shabab che hanno giurato fedeltà allo Stato Islamico, e infine in Libia, 2011, in una delle più sciagurate operazioni di alcuni Paesi Nato, Stati Uniti, Francia e Italia a governo Berlusconi.
Però solo Putin continua a essere massacrato dalla cosiddetta “comunità internazionale” che altro non è che il coacervo di Stati stesi come sogliole ai piedi degli States e che è sì internazionale, ma non è mondiale, perché a questa condanna sono estranei non solo la Cina e l’India, circa tre miliardi di persone, ma anche quasi tutti i Paesi sudamericani, tanto più che ora Lula ha cacciato a pedate il ‘cocco’ dell’Occidente, Bolsonaro.
Inoltre in questa damnatio memoriae qualche ragione ce l’ha anche la Russia di Putin. Non è rassicurante essere circondati da Paesi Nato e filo-Nato cioè, attraverso gli Stati Uniti, da Stati potenzialmente nucleari, oltre che dai nazisti ucraini.
Pistola alla tempia, io scelgo la Russia, anche l’attuale Russia, non l’Ucraina. E forse faccio anche a meno della pistola.
Nota Bene. Publico l’articolo con aggiungendo la seguente inevitabile riserva: il disaccordo totale sull’ultimo paragrafo. Non scelgo, non posso, non voglio, la Russia; tra peste e colera mi ostino a affermare il mio diritto alla salute, alla democrazia, alla libertà di parola. Il peggio Ucraina non lo prendo in considerazione. Chiedo, anzi PRETENDO, di vivere in quello che Berlinguer (l’illuso) ha definito il paese più democratico del mondo. Così è stato definito, così pretendo che sia. La circostanza che non possa averlo mi deve solo istigare alla lotta per renderlo tale, democratico, non dare comunque rassegnate patenti di tallerabilità all’intollerabile. A Putin, a Meloni, a Letta o all’oppressore di turno che passa la mano al prossimo suo uguale a lui stesso.
è un menestrello
che narra della vita e della morte
inflazionando le botteghe
tingendo case e muri
di nerofumo e ceralacca
uno che scopre il brutto e il bello
dove il divino tace
e condivide appieno l’esondare
dalla sorgente assidua e misteriosa
che gli alita nel cuore
un bel mistero
è un dicitore di leggende apprese
in cui non crede più
mostra le crepe
della licitazione del pensiero
edulcorando le sue stesse pecche
amare e contingenti
affabula di sogni e concretezze
e a chi gli dice: è troppo
risponde affabilmente:
si lesina soltanto se si ha poco
un’anima affollata che trabocca
scrive gli assortimenti di una vita
senza fini di lucro o di successo
e lascerà muraglie di parole
ritagli colorati in un pc
settembre 2014
Sempre notevole ed eccellente, Cristina Bove
di Cristina Bove
due in un giorno non sono troppe
Pubblicato ilsabato, 17 settembre 2022dacristina bove
Nel fango del fossato
parlano il pantanese
e bevono pastrocchi al piano- dar
_dare le solfe, rime, pergamene
redatte nel giurassico_
se sapessero quanto c’è di zucca
nei crani ripassati dall’età
_corone e scettri ai cromosomi che
fan corpi sfatti e facce cavalline_
saprebbero ch’è meglio un rospo a tavola
d’un bacio stregonesco
che li rendesse pargoli attempati
re travicelli di giustiana fama .
Quelli che invece sguazzano pimpanti
in acquitrini rogge e altri canali
scriverebbero versi per i posteri
versi da bofonchiare, tutti uguali
banalità con enfasi rampante
rampolle di pocaggine
come diceva la poeta amica
_un po’ ne invidio acume e dipartita_
anzi diceva di poraccitudine
confermo ogni insostanza
Pubblicato giovedì, 29 ottobre 2015 da cristina bove
Logoro alle caviglie
l’abito mostra date di scadenza
percorre l’arenile senza impronte
_soltanto scie di vento sulla sabbia_
Il curriculum vitae
non più da presentare
dimenticarlo chiuso in un cassetto
_era un soffio di vita sulle braci_
nell’atelier sprovvisto di memoria
nessuna griffe è scritta sulla pietra
s’indossano vestiti in trasparenza
_bordati d’aria ricamata a giorno_